lunedì 23 marzo 2009

IL CONGEDO DI PELLEGRINO: “IO, UN PRESIDENTE ECUMENICO” - da www.lecceprima.it

E' stato l’attore non protagonista della prima uscita da candidata del centrosinistra alla provincia di Lecce di Loredana Capone e ha colpito l’assemblea per quell’insolita commozione, dimostrata dietro un’espressione da saggio, severo, che non lascia trapelare emozioni, tipica di molti settantenni salentini: Giovanni Pellegrino si appresta a lasciare l’esperienza amministrativa di Palazzo dei Celestini, e, nella cornice dell’aula magna dell’Hotel Tiziano di Lecce, venerdì scorso, ha ufficialmente ceduto il testimone alla sua vicepresidente, firmando pubblicamente il suo congedo da responsabile dell’Ente. E per il senatore, che chiude con un unico mandato la sua esperienza alla provincia, è tempo di bilanci e considerazioni sul proprio operato.

Presidente Pellegrino, cosa lascia in eredità a chi le succede nell’ormai imminente congedo dalla Provincia di Lecce?

“Innanzitutto aver mantenuto una provincia dinamica, quasi come l’avevo ereditata da Lorenzo Ria, in una situazione complessiva, che con gli anni si era fatta più difficile: minori risorse pubbliche, restrizione dei finanziamenti statali, crisi del manifatturiero leggero. Malgrado questo, noi siamo riusciti a far crescere per circa tre dei cinque anni, in cui ho presieduto la provincia, prima che arrivasse questa recessione mondiale, la ricchezza prodotta dal Salento; abbiamo affinato quel progetto di Salento, che già era nato con Lorenzo Ria; e, poi, spero di aver lasciato ad un ceto dirigente più giovane, che ho cercato di fare crescere, anche la convinzione della validità di un metodo”.

A proposito di metodo, esiste una differenza tra i ruoli di rappresentanza che ha ricoperto, ossia tra il senatore Pellegrino e il presidente della provincia Pellegrino?

“È una domanda che in questi anni non mi avete mai fatto e che mi ha sorpreso che non mi abbiate mai rivolto. Dico si, esiste. Da parlamentare, io sono sempre stata una persona, che pensava in solitudine e a voce alta: infatti, al partito, in cui militavo ho dato sempre problemi; invece, da presidente della provincia, mi avete voi stessi, operatori della comunicazione, chiamato <>: cioè, ho cercato di mettere molto in sordina la mia personalità, perché, secondo me, si fanno crescere gli altri non col comando, ma col consiglio. E il consiglio non si dà mai a voce alta, ma a voce sommessa. Penso che sia soprattutto questa l’eredità che lascio a chi mi succederà”.

Cosa può dare ancora questo centrosinistra alla provincia di Lecce, dopo quindici anni di governo e davanti al rischio oggettivo, che si possa chiudere un ciclo, per far spazio ad una discontinuità progettuale?

“Sono stati quindici anni, dove innanzitutto una realtà geografica sconosciuta è emersa: sedici anni fa, se giravo l’Italia e dicevo di essere del Salento, mi rispondevano che allora ero di Salerno, perché capivano Cilento. Adesso il Salento è una realtà, che fa trend, che fa tendenza: si è affermata in tutta Italia. Per questo, penso che bisogna continuare in quella direzione, naturalmente inserendo degli elementi di novità che la situazione odierna rende necessari. Ecco perché, a questo punto, mi sembra giusto che sia un ceto dirigente più giovane, anche più consentaneo con la modernità, ad assumersi l’onere di proseguire in quella strada, con le dovute correzioni di rotta”.

Qualche giorno fa, sulle pagine di LeccePrima, in un’intervista personale a Saverio Congedo, il consigliere regionale, invitato ad esprimere un giudizio sull’amministrazione Pellegrino, aveva sottolineato come dalla sua figura “si potesse attendere di più” e che la vera eredità che lascia questo centrosinistra è quella di “un onerosissimo carrozzone clientelare”. Cosa sente di replicare?

“Questo non è vero. Che io avrei potuto fare di più, me lo dico da solo, soprattutto se penso ai miei primi anni: l’ho ribadito anche pubblicamente che io la provincia la conoscevo poco, quindi, sono stato un maratoneta, che è partito piano. Poi, però, passo dopo passo, di strada ne abbiamo fatta. Clientelismo assolutamente no: io non ho fatto una sola assunzione, non ho distribuito incarichi e mi sono reso ostili anche gli appartenenti al mio ceto professionale, non avendo distribuito incarichi legali. Ho cercato solo di far lavorare al meglio la macchina burocratica. Ho semplicemente stabilizzato una serie di precari, che erano stati discrezionalmente assunti precedentemente a me. Poi, come fossero stati assunti, non mi interessava: erano lavoratori che stavano alla Provincia, e questa politica di stabilizzazione del lavoro precario, noi l’abbiamo seguita a 360° e in più settori. Però, io non ho mai guardato il padronato con cui quelle posizioni si erano costituite, era una questione, che non mi riguardava. Quello che posso dire è che non si erano costituite con me”.

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