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È stato il primo personaggio illustre a salutare il Pd, nella fase antecedente alla designazione delle candidature delle provinciali: Dario Stefàno, consigliere regionale, rompe il silenzio a qualche mese dal suo avvicinamento al progetto centrista di Pierferdinando Casini e prova a spiegare le proprie ragioni, rispondendo a qualche accusa sulle motivazioni che lo hanno indotto a cambiare partito. Nel racconto intervista a tutto campo, Stefàno risponde alle critiche, ai sospetti e alle tesi, che hanno accompagnato la sua uscita dal Pd, dalla sua presunta candidatura alla provincia, al suo futuro con Vendola, al progetto politico “laboratorio”, avviato insieme alla leader del Terzo Polo, Adriana Poli Bortone. Di seguito, l’intervista integrale. Consigliere Stefàno, solo sei mesi fa, commentava positivamente sulle pagine del nostro giornale gli sviluppi interni all’assemblea del Pd impegnato ad organizzarsi in vista delle provinciali. Oggi che il voto è vicino, cosa è cambiato nella sua esperienza politica? “Il mio commento era dettato da un’aspettativa, una speranza che ho coltivato fino alla fine, salvo poi essere costretto a ricredermi. Che l’Assemblea provinciale del Pd, cioè, fosse il luogo della discussione vera. E non un formale convivio che doveva servire esclusivamente a ratificare le decisioni già costruite altrove, da un gruppo ristrettissimo di “notabili”, come invece si è rivelato essere. A Roma come a Bari, infatti, al di là di qualche nomina di facciata, le decisioni sono sempre state assunte nel chiuso di un gruppo ristrettissimo, con le stesse persone di sempre. D’altronde i leader non sono gli stessi di sempre? Quelli che, prima del Pd, hanno deciso nei Ds e, prima ancora, per il Pds e così via indietro nel tempo… Ad un certo punto ho preso atto che l’Assemblea non aveva in mano la chiave per modificare un sistema stratificato nel tempo. E mi sono dimesso da presidente come pure da semplice componente, poiché non c’era, sino in fondo, la voglia di modificarlo veramente”. Che cosa ad un certo punto del suo percorso politico le ha fatto diffidare dal credere di poter continuare l’esperienza con il Pd? “La vera sconfitta del Pd è stata quella di rivelarsi “allergico” ai cambiamenti veri. Ci era stato detto che davamo vita ad un partito nuovo ed è su questo presupposto che tanti come me avevano costruito la propria adesione. In realtà, però, di nuovo c’è stato solo il nome. Per il resto, tutto come prima. Con l’aggravante di aver generato un percorso che ha soffocato letteralmente i valori del moderatismo cattolico nei quali tanti, come me, si sono sempre riconosciuti. D’altro canto, non si spiegherebbe come mai in tutta Italia, non solo qui a Lecce, la delusione ha spinto tanta gente alla mia stessa scelta”. Solitamente, quando le cose non vanno, si dice che sia più facile scappare che restare, cercando di dare il proprio contributo a migliorare il partito. Sente di aver fatto la scelta più comoda e di aver mollato la barca nel momento in cui stava affondando? Perché non ha ritenuto, come per esempio ha fatto Blasi, pur nelle difficoltà del Pd, di dare ancora il proprio apporto cercando di cambiare il partito dal suo interno? “Esattamente per le ragioni che ho richiamato prima e che mi portano ad affermare che il progetto Pd è fallito. La barra del Pd, e non lo dico solo io, si è spostata a sinistra, vogliono che sia il partito della sinistra italiana e io lì non posso esserci. In tal senso, è certamente più naturale per uno che ha il percorso politico di Blasi scegliere di rimanerci, pur con la legittima ambizione di migliorare ciò che non va. Ma non si può lavorare per migliorare qualcosa che non ti rappresenta, in cui ti non riconosci. Questo si, secondo me, sarebbe poco coerente”. Crede che il Pd sia un partito da bocciare, destinato a una fine prematura, o che sia ancora troppo giovane, per essere giudicato e, quindi, meriti ancora del tempo per essere valutato? “Di professione non faccio il profeta, né riesco a vedere attraverso la sfera di cristallo. Il giudizio più importante in politica è sempre quello che viene dagli elettori. Oggi posso solo esprimere la mia valutazione, che peraltro mi accomuna a tutti quelli, e sono tanti, che hanno constatato che il pluralismo tanto invocato, non si è poi tradotto in fatti. A vincere, si è visto, è stata la filosofia della cultura prevalente: chi ha i numeri ha finito per soffocare le componenti considerate minoritarie, nonostante queste fossero espressione di una matrice culturale e valoriale importantissima della nostra società, quella del cattolicesimo che tutti affermavano di voler mettere a patrimonio comune. Io mi auguro che il Pd ritrovi presto una sua collocazione e, nella logica che mi contraddistingue, quella del pluralismo democratico, che esso sappia recuperare un ruolo utile al Paese. All’opposizione oggi o, se saprà meritare la fiducia dell’elettorato, in una alleanza di governo domani”. Qualche maligno ritiene che, tra i motivi del suo allontanamento dal Pd, ci sia stata la scarsa considerazione di una sua possibile candidatura alla provincia: c’è qualcosa di vero in questa tesi o sente di smentirla categoricamente? E se la smentisce, come ha realmente vissuto l’ipotesi di una candidatura alla provincia di Lecce nelle fila del centrosinistra: qualcuno glielo ha mai proposto? “E’ una ipotesi mai esistita, né questo è all’origine della mia scelta di allontanarmi dal Pd. Di cose se ne sono dette tante, come sempre accade in questi casi. Perché quando non si vogliono capire le ragioni di chi fa una scelta diversa, perché sforzarsi di capire significherebbe anche fare autocritica, mettersi in discussione, è più facile ricorrere “all’accusa”, dire anche qualche cattiveria. Questo attiene alla sfera etica delle persone, ognuno risponde di quello che dice e che fa”. Come ben sa anche il suo avvicinamento all’Udc ha scatenato un ampio dibattito su tutta una serie di cambi di schieramento da parte di molti rappresentanti politici del territorio. Dal suo punto di vista, pensa che la gente e gli elettori abbiano compreso il senso della sua scelta? “Guardo con grande interesse e convinzione al nuovo progetto politico centrista a cui sta dando vita a livello nazionale Pierferdinando Casini. Uno spazio politico nuovo per dare voce e progettualità a chi ritiene conclusa la stagione del “finto bipartitismo”, sistema che si è rivelato essere poco coerente con la storia e con la cultura politica italiana. Uno spazio che intende abbracciare quei valori del moderatismo cattolico, a cui sono stato sempre legato e che, come dicevo, nel Pd sono andati definitivamente perduti. Una scelta coerente con la mia storia personale, dunque, che le persone, tantissime, che ho incontrato sinora mi hanno confermato di aver compreso. Perché io non ho cambiato nulla, né ho modificato le mie convinzioni. Guardo al “centro” perché desidero rimanere fedele al mio bagaglio valoriale”. C’è ovviamente anche chi, in un clima di forte disaffezione nei confronti della politica, può non vedere di buon occhio quelle che noi con un termine forte, ma risultato efficace, abbiamo indicato “transumanze”. Al di là delle ragioni personali che spingono a cambiare partito, non pensa che davanti a queste evoluzioni si perda ancora maggiormente la fiducia nei politici e nella politica? Che idea si è fatto di quanto è accaduto al suo ex compagno di partito, Lorenzo Ria? “Guardi, nel nostro Paese viviamo, ormai da qualche tempo, una stagione di cambiamenti. Una stagione che ha dato vita a nuove formazioni politiche, a nuovi “laboratori”. È il modo con cui ci si sforza di dare rappresentanza politica ai grandi cambiamenti sociali e culturali di questo nuovo millennio. Tant’è che sono venuti meno i grandi partiti della tradizione politica italiana, in cui ci si era riconosciuti sino a 15/16 anni fa. Le evoluzioni, quelle che voi chiamate transumanze, allora hanno un senso se inserite in questo quadro sociale più complesso. La fiducia degli elettori, essenziale per chi fa politica, alla lunga si conserva solo con scelte di coerenza, quale credo sia stata la mia. Quanto a Lorenzo Ria, non amo giudicare le scelte altrui, le rispetto e basta. Mi limito ad osservare che anche la sua scelta conferma il disagio di chi da moderato è approdato nel Pd. Lui però si dichiara convinto sostenitore del bipolarismo maturo italiano; schema che invece, a mio avviso, ha già fallito perché sinora non ha prodotto le riforme di cui il Paese aveva ed ha bisogno”. Una domanda che molti si sono posti: perché, pur avendo lasciato il Pd ha ritenuto di continuare ad appoggiare il governo regionale di Vendola: non c’è il rischio di un’incongruenza nel sostegno, a livello provinciale, di una candidata come la Poli Bortone, che non risparmia critiche proprio a quel governo regionale, che lei continua ad appoggiare? Qual è ad oggi il suo giudizio sull’amministrazione Vendola? “Ho ritenuto di tenere fede all’impegno che qualche migliaia di elettori mi hanno affidato scrivendo il mio nome sulla scheda elettorale. E ribadisco “scrivendo il mio nome”. E’ forse utile ricordare, infatti, che nel 2005 mi sono candidato come indipendente nelle liste de La Margherita, e chi mi ha accordato la sua preferenza lo ha fatto consegnandomi un ruolo di pungolo al governo regionale, affinché quel progetto di cambiamento ispirato alla figura di Vendola non perdesse smalto. E non a caso - e questo è cronaca – sono sempre stato l’anima più critica nella maggioranza, proprio perché quel progetto con cui si voleva cambiare radicalmente il metodo di governo delle istituzioni regionali non perdesse smalto. Un progetto che si era proposto come fortemente innovativo e che, proprio per questo, in campagna elettorale, appassionò anche gli elettori più moderati. Proprio quegli elettori che poi, per primi, ne hanno sottolineato le prime crepe”. Gli uomini di centro generalmente affermano che il bipolarismo vigente in Italia sia imperfetto e che la tendenza al bipartitismo non sia un bene: perché molti centristi ex democristiani, spesso si avventurano nei due poli classici, pur sapendo di faticare a star dietro a questo schema? “Beh, mica posso rispondere delle scelte altrui! Dico solo che in più di un’occasione forse si è peccato di superficialità nell’analisi, immaginando che potessero rivelarsi percorribili percorsi politici costruiti dal “notaio”, anche quando questi puntavano ad amalgamare culture troppo differenti. Io credo che abbia ragione Casini quando sostiene che il bipolarismo della Seconda Repubblica abbia fallito, perché ancora oggi il Paese attende le riforme che né uno né l’altro polo sono stati in grado di fare. Il Centro al quale si sta lavorando, può davvero essere il valore aggiunto di una alleanza di governo: ne è prova il fatto che, a Roma come a Bari o a Lecce, il Pd come pure il Pdl guardano con sempre maggiore interesse ad una prospettiva di alleanza con il Centro, poiché quella cultura di governo di cui solo il Centro ha dimostrato di essere erede può dare maggiore credibilità e contenuti ad un progetto di governo”. Perché ha scelto insieme all’Udc di sostenere la Poli? Cos’ha in più degli altri candidati? Che idea di provincia emerge nel progetto del Terzo Polo? “Sono convinto che la nostra proposta programmatica rappresenti per il Salento l’occasione di vivere una stagione nuova, in cui l’ente Provincia, pur tra le mille difficoltà che il federalismo voluto da Berlusconi e dalla Lega produrrà al nostro territorio, sia capace di disegnare e realizzare, insieme a tutti gli “attori” principali, una “nuova” strategia di sviluppo. In questo senso, pur avendo registrato una importante attestazione di stima da parte di Pierferdinando Casini e dell’onorevole Ruggeri, che avevano individuato nel sottoscritto la candidatura ideale per guidare il Terzo Polo a Lecce, ho ritenuto opportuno fare un passo indietro e chiedere ad Adriana Poli Bortone di mettere a patrimonio comune la sua positiva esperienza di governo della Città capoluogo. E con Lei, nonostante percorsi politici diversi, c’è stato subito feeling sulle cose da fare. La campagna elettorale in giro per il Salento ci ha fatto registrare un dato molto significativo: le persone hanno gradito la scelta di improntare l’attività della futura Provincia in chiave fortemente territoriale, rivendicando un ruolo di protagonismo nel panorama italiano grazie alle peculiarità e alle risorse che ci contraddistinguono”. Molti esponenti degli schieramenti in competizione alle provinciali hanno parlato di sondaggi: il centrodestra si è detto convinto di vincere al primo turno, sulla base di dati a propria disposizione, il centrosinistra ostenta ottimismo: eppure dei sondaggi tirati in ballo, non vengono fuori i numeri e i dati, tanto che la provincia di Lecce è una delle poche scoperte da questo punto di vista. Voi del Terzo polo avete qualche elemento utile per comprendere quale sia l’orientamento politico nel Salento. C’è qualcuno che sui sondaggi sta bluffando? “Sono notoriamente poco incline ad affidarmi ai sondaggi, perché preferisco provare a leggere, ad interpretare gli atteggiamenti dell’elettorato. In tal senso, a giudicare dagli entusiasmi che abbiamo risvegliato per il Salento, dall’affetto che tanti elettori e tanti giovani ci hanno voluto manifestare, credo che la vera sorpresa saremo noi. Nonostante le pressioni esercitate, infatti, spesso al limite del consentito, tanta gente ha ben percepito la portata del nostro progetto di cambiamento, ha felicemente riscoperto un approccio, un linguaggio, una idea dell’impegno istituzionale che richiama ad una cultura di governo tipica del centro. Quella stessa cultura che prese per mano l’Italia nel dopoguerra per accompagnarla in una stagione di crescita straordinariamente positiva e che, oggi, può riprendere i nostri destini per disegnare una prospettiva territoriale di speranza”. |
sabato 6 giugno 2009
“FUORI DAL PD PERCHÉ È ALLERGICO AI CAMBIAMENTI” - da www.lecceprima.it
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